I due corsi d’acqua più inquinati del Veneto sono nella Bassa Veronese

I due corsi d’acqua più inquinati del Veneto scorrono nella Bassa veronese: sono il Fratta-Gorzone e il Fissero- Tartaro-Canalbianco. Lo conferma il Rapporto sullo stato dell’ambiente veneto 2020, il ponderoso studio pubblicato in questi giorni dall’ Arpav, l’agenzia regionale per l’ambiente.

Ma non sono i soli ad avere un indice di qualità morfologica (il parametro volto a identificare quanto un corso d’acqua si discosti dalle sue caratteristiche naturali), decisamente negativo. Scontata la maglia nera del Fratta-Gorzone, che attraversa il Colognese e cambia ben undici nomi da Arzignano, nel Vicentino, sino a Chioggia, nel Veneziano: è da decenni vittima di una grave contaminazione, da quando negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso era il ricettore degli scarichi delle industrie del polo conciario berico della Valle del Chiampo.

Poi è diventato il luogo di scarico del collettore che trasporta a valle quanto esce da cinque depuratori, anch’essi tutti vicentini, di Arzignano, Montecchio, Montebello, Trissino e Lonigo. Attualmente questa condotta, nota come tubone Arica (dal nome del consorzio che la gestisce) sversa i reflui a Cologna. Lo fa nel punto in cui nel Fratta-Gorzone arrivano anche acque pulite che vengono prelevate dall’Adige e trasportate dal canale artificiale Leb. Una coincidenza non casuale: è dovuta alla necessità di «rivivificare», diluendo lo scarico, il fiume.

Se fino a qualche tempo fa i problemi noti delle acque del Fratta-Gorzone erano quelli legati principalmente alle sostanze derivanti dalle attività conciarie, dal cromo a metalli pesanti, cloruri e solfati, da qualche anno si è scoperto che a esse vanno aggiunti i Pfas, che venivano prodotti a Trissino ma che sono anche usati in alcune lavorazioni. Per quanto riguarda questi ultimi, va detto, comunque, che i rilievi di Arpav ne mostrano una diminuzione costante nei reflui trasportati dal tubo.

Luca Fiorin (L’Arena)

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